SAN PIETRO CELESTINO

LA PERDONANZA CELESTINIANA

SPIRITUALITA' CELESTINA

L'eremitismo celestiniano

1. La “peregrinatio”

All'interno dell'ascetica cristiana, il pellegrinaggio ha un valore di “métanoia” per l'uomo, che si è allontanato da sé e da Dio e rappresenta un cammino nella prospettiva di diventare più uomini e più cristiani al tempo stesso.

Esso esprime la convinzione che la creatura umana non abbia stabile dimora in questo mondo.

Intraprendere volontariamente l'itinerario dietro la spinta della fede significa abbracciare il proprio autentico orientamento spirituale verso la dimora eterna.


Il pellegrinaggio cristiano ha dei suoi tratti salienti:

1) lasciare la propria dimora, le occupazioni consuete, le proprie relazioni;

2) affrontare la precarietà e gli imprevisti;

3) prendere contatto con persone, luoghi e situazioni completamente estranei, spesso opposti alle proprie preferenze.

 

Celestino vive e testimonia le modalità ascetico-antropologiche e le motivazioni teologiche del pellegrinaggio cristiano da cui è spinto ad abbandonare la propria “patria e ad andare lontano per servire Dio”.

Il suo eremitismo è un costante cammino verso luoghi ogni volta differenti dove poter realizzare con progressiva intensità l'anelito spirituale.
All'interno di tale dinamica, si colloca l'esperienza comunitaria del santo, vissuta con la disponibilità di chi si lascia condurre dallo Spirito dovunque Egli voglia.

Tale esperienza viene vissuta dal santo senza però perdere mai di vista l'orientamento di fondo della propria esistenza: continuare a camminare verso sempre nuovi eremi e grotte sempre più inaccessibili.

San Pietro fu sempre in cammino, non verso mete tradizionali di pellegrinaggio, ma verso luoghi solitari in cui avvertire sempre più nel silenzio orante la voce di Dio.

I contemporanei ci dicono che anche da pontefice della Chiesa universale egli rimase fedele alla sua vocazione fondamentale, facendosi costruire a Napoli, all'interno di una delle splendide sale di Castelnuovo, un'angusta cella di legno dove poter continuare a coltivare, finanche da pontefice, almeno in parte, lo stile di vita eremitico e penitente.

 

2. La “solitudo”

Il Signore attirò Celestino nel deserto della solitutine per parlargli al cuore.

Celestino ha scelto il Signore come unico suo bene, anzi, Dio l'ha voluto come offerta di lode.

Senza esitazioni, il santo immola in Lui e per Lui la sua vita.

Bramerà sempre di immergersi nel silenzio da Dio colmato, nella pace ove Egli si manifesta.

Nella solitudine, infatti, Dio si comunica.

Conoscerlo, adorarlo, amarlo, lodarlo è l'unico necessario, il tutto della vita eremitica.

L'accessorio viene ripudiato.

 

Come gli angeli dell'Apocalisse, il santo con i suoi seguaci sanno di avere come unico servizio quello di cantare prostrandosi dinanzi al volto di Dio: “Lode, gloria, sapienza, azione di grazie, amore e potenza sono del nostro Dio per i secoli dei secoli” (Ap. 5, 13).

Come i Serafini di Isaia, anche i celestiniani sono chiamati a cantare: “Santo, santo, santo è il Signore Dio degli eserciti; tutta la Terra è piena della Sua gloria” (Is. 6, 3).

 

Nella preghiera, Celestino contempla ed adora Dio, intercedendo per la Chiesa e per il mondo “senza voltarsi indietro”.

Fissa lo sguardo sull'Eterno e su quanto riflette unicamente la Sua bellezza.

Custodisce libero lo spirito ed il cuore.

Guarda il mondo in Dio, come i beati del Cielo, non già Dio attraverso il mondo.

Offre sé stesso in sacrificio di lode perché la terra sia migliore e benedetta.

Dio lo ha posto nella solitudine per essere Lui la sua unica preoccupazione, il solo sprone della sua anima.
Nelle più diverse circostanze, egli rimane sempre totalmente rivolto verso Dio.

 

 

Celestino compie generosamente quanto è in suo potere.

Non confidando nelle proprie umane capacità, ma lasciando dipendere ogni cosa dal Padre.

Non ricerca la propria gloria, teme il peccato ed è consapevole che le vie di Dio non sono quelle degli uomini.

Nella solitudine, Celestino ha appreso che l'importante è fare quello che Dio vuole e che la pace proviene dal sapere che il Padre ha in mano il mondo ed il cuore di ogni uomo.

La sua esperienza anacoretica quotidiana, sostanziata di solitudine e silenzio, è strutturata su severe pratiche ascetiche, quali la penitenza e la mortificazione, la preghiera ininterrotta, il rigore di prolungate veglie e di duri digiuni.

Così facendo egli ricerca una liberazione profonda e progressiva per mezzo di una spiritualità volta all'unità interiore dell'uomo e totalmente svincolata da ogni interesse terreno.

 

3. La “colluctatio”

È chiara la necessità della lotta spirituale.

Nel Medioevo, la vita eremitica veniva concepita come il vertice più aspro del combattimento spirituale al quale possono sottoporsi solo i più temprati nello spirito.
La necessità nel combattimento spirituale, d'altra parte, è un'esigenza propria di tutti i cristiani.

Essa è affermata chiaramente nel Vangelo e fa parte del messaggio della Chiesa primitiva: in ogni vita morale e religiosa è concretamente incluso uno sforzo ascetico.
Per potersi avvicinare a Dio è necessaria una purificazione del modo di vivere.

A maggior ragione, coloro che vogliono vivere di Dio soltanto, rinunciando a tutto, non possono accedere in maniera immediata alla contemplazione divina senza un intenso cammino di penitenza che li unisca al mistero della redenzione mediante la croce di Cristo.


Lo stesso Gesù, poi, aveva dato l'esempio della lotta contro il demonio prima dell'inizio della vita pubblica e così insegnava ai discepoli che non avevano saputo scacciare il maligno dall'anima di un ragazzo: “Questa specie [di demoni] non si può scacciare in alcun modo se non con le preghiere e con il digiuno” (Mc. 9, 29).

La preghiera, cioè, è più autentica se si accompagna alla penitenza.

 

Il Vangelo di Giovanni chiama la presenza divina luce e quella del peccato tenebra.

La luce è fonte di vita piena e gioiosa, le tenebre emanano odio e generano la morte.

Potremmo sintetizzare così i termini del combattimento spirituale nel quale Pietro Celestino è immerso: da Dio proviene luce-amore-vita, dal peccato e da Satana tenebre-odio-morte.

All'uomo non resta, pertanto,che scegliere se accettare Dio ed il Suo infinito Amore, oppure diventare vittima dell'odio di Satana che genera distruzione e morte.
In questo scontro non esiste una terra di nessuno: le due realtà contrapposte combattono ininterrottamente l'una contro l'altra.

Solo se avanza la presenza di Dio arretra quella di Satana.


Nel Vangelo tutta la realtà viene letta alla luce di questo scontro.

Ci sono due mondi opposti: quello del bene e quello del male, due imperi rispettivamente sotto il dominio di Cristo e di Satana.
Anche gli uomini si dividono, a detta del Vangelo, in “figli della luce e figli delle tenebre”, a seconda che vivano sotto l'influenza della luce di Cristo o delle tenebre del peccato.
Papa Francesco, nella Gaudete et Exsultate, afferma:

 

La vita cristiana è un combattimento permanente.

Si richiedono forza e coraggio per resistere alle tentazioni del diavolo e annunciare il Vangelo.

Questa lotta è molto bella, perché ci permette di fare festa ogni volta che il Signore vince nella nostra vita.
Non si tratta solamente di un combattimento contro il mondo e la mentalità mondana, che ci inganna, ci intontisce e ci rende mediocri, senza impegno e senza gioia.

Nemmeno si riduce a una lotta contro la propria fragilità e le proprie inclinazioni (ognuno ha la sua: la pigrizia, la lussuria, l’invidia, le gelosie, e così via).

È anche una lotta costante contro il diavolo, che è il principe del male.

Gesù stesso festeggia le nostre vittorie.

Si rallegrava quando i suoi discepoli riuscivano a progredire nell’annuncio del Vangelo, superando l’opposizione del Maligno, ed esultava: «Vedevo Satana cadere dal cielo come una folgore» (Lc 10,18).”


Il concetto della “colluctatio”, cioè del combattimento spirituale, presente nella spiritualità celestiniana, è quindi un invito a ritrovare la forza e la dignità presenti nella persona umana abitata dallo Spirito e, nello stesso tempo, suggerisce che Colui che ci ha fatto dono della vita è il Dio Santo, forte, onnipotente, che vive in eterno, il vincitore.